Stelle

Ero ancora una supplente, accettavo incarichi in qualsiasi posto fosse raggiungibile, anche se lontani, anche se scomodi o fuori mano. Accetto questo incarico in questa minuscola scuola di montagna. Insegno italiano a questa sparuta classetta di dodici anime. Li vedo davanti a me, piccolini, una classe seconda, sguardi tra il perplesso e il timoroso. Entro in classe e comincio a lavorare, col mio ritmo. Faticano a starmi dietro, non sono abituati, leggono poco, imprecisioni e qualche lacuna: sono una prof difficile, esigente, dura talvolta.

Ma io non mollo. La scuola prepara alla vita e si deve imparare come vanno fatte le cose. Vanno fatte bene, con impegno, con passsione, col tempo che ci vuole, vanno rifinite, compiute e ci si assume la responsabilità di quanto fatto, sempre, nel bene e nel male.

C’è lei, sguardo adulto, serio, concentrato di una che non te la fa passare liscia. Lei che studia e si impegna, ma continua a guardarti seria e non ti molla un secondo. Intelligente, intensa, scrive benissimo ma non ci crede, non crede di essere brava, non crede di valere quell’oro che ai miei occhi è evidente. E’ una dura, anche lei. Orgogliosa, va avanti a testa bassa, fa il suo ma non mostra mai il fianco e non trovo agganci. Poi, un giorno succede qualcosa che fa scattare una molla. Qualcosa tra di noi, le dure e pure. Un tema letto in classe, un abbraccio e i sentimenti si stemperano. Ci siamo capite.

Me ne vado da quella scuola, altre scuole, altre vite. Lei mi scrive. Le dico ” Il tuo destino è quello di fare un lavoro nel sociale. Il tuo talento è l’umanità. ” Lei è una che vive col cuore in mano, una che combatte, che stringe i denti, che si rialza sempre. Finisce, per un’idea confusa che ha di sè, in una scuola tecnica, che nulla ha a che vedere con lei e quello che è.

Sono anni difficili per lei, materie non esaltanti, un ambiente strano, professori con cui non riesce a capirsi. Mi scrive lettere bellissime, ma sento che soffre, che fatica, arranca. Ma è una dura e conclude il suo percorso. Si prende un anno per pensare, non vuol buttarsi su di una facoltà qualsiasi tanto perchè bisogna iscriversi a qualcosa, vuole capire che cosa vuole dalla vita e intanto lavora e fa esperienze.

Mi arriva un messaggio, ha superato il test per la facoltà di psicologia, sta partendo e ha chiara la sua strada. L’ho aspettata al varco. Il suo talento l’ha aspettata al varco. Perchè quello che siamo viene fuori sempre, prima o poi. E possiamo raccontarci storie meravigliose costruite sul nulla ma la nostra natura ci reclama, prima o poi. E ci sono lavori che fai e professioni in cui sei e quello che sei è una parte fondamentale del tuo lavoro e il tuo lavoro diventa la tua vita. Si intreccia con essa e ne dà un senso più profondo. E da pietra si diventa diamanti perchè il nostro destino si compie.

Se uno ha il talento dell’umanità non può fare altro che aiutare gli altri e lo saprà fare e bene e questo sarà la sua gioia. Rigiro tra le mani, stasera, la foto di quella classetta, manipolo di dodicenni pieni di dubbi. Sono felice.

Vai stella mia, avanti per la tua strada e non smettere mai di brillare.

La tua Cattivissimaprof

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Per un pugno di Incipit

 

“Da sette mesi si firma Maria Grazia Graticola, ma il suo vero nome è Carolina Groppo. Come Maria Grazia Graticola la pagano per disegnare genitali maschili e femminili sulla traduzioni in italiano dei manga, i fumetti giapponesi. Come Carolina Groppo, invece…”

“Occhi sulla graticola” di Tiziano Scarpa

 

“Palude – quando era Palude – ti alzava con una mano sola, se non  ti stavi zitto.Era un armadio di un metro e novanta. Di altezza. Moro, riccio. Occhi neri. naso imperiale. Sorriso largo. Vita stretta.

E’ lui il protagonista di questa storia. Storia che, in fin dei conti, qui non si accinge a raccontare se non nel tentativo di raccapezzarci finalmente qualche cosa. Non c’è alcun talento epico – bell’epica sarebbe -nè tanto meno documentale.”

“Palude” di Antonio Pennacchi

 

“Questa è la fattoria Hale. Ecco la vecchia stalla per la mungitura, l’entrata buia che dice Vieni a cercarmi. Ecco la banderuola, la catasta di legna. Ecco la casa, eccheggiante di storie. E’ presto. Il falco vola lento nel cielo sgombro. Una sottile piuma blu volteggia nel vuoto. L’aria e fredda, limpida. La casa è silenziosa, come la cucina, il divano di velluto blu, la piccola tazza da tè bianca.”

“L’apparenza delle cose ” di Elisabeth Brundage

 

 

 

 

E insomma ieri entro in classe. Vediamo insieme il film “L’Onda”. I ragazzi  lavorano a gruppi, discotano, si confrontano. I totalitarismi, la dittatura, la cieca ubbidienza. Facciamo ipotesi, le smontiamo, le ricostruiamo. Due ore volate così, senza accorgersene. Suona la campanella, li accompagno in cortile.

Risalgo, mi siedo sulla cattedra. Sopra. La sedia è sempre troppo stretta per le mie gambe lunghe. E allora mi siedo sulla cattedra come un pappagallo sul suo trespolo.

Lungo i corridoi incontro il mondo che mi chiede. Mi avvisa che, mi domanda se, mi chiede di; è tutto un fuoco di richieste, consigli, attenzione.

Gli adulti e i ragazzi hanno bisogno di questa cosa preziosa e e rara: un’attenzione sincera e gratuita.Le motivazioni sono le più diverse: fragilità, senso di smarrimento, insicurezza, semplice solitudine.

La classe è il mio spazio libero. Bianco dove posso dire ed essere quella che sono. In questo mestiere che più di molti altri mette in luce quello che sei. Prima di insegnare, noi siamo persone. E la qualità umana viene fuori e puoi chiudere il coperchio della pentola e tenerlo premuto finchè vuoi. Ma il contenuto esce fuori e si vede quello che sei.

Ecco il perché di tanti fallimenti e di tante vittorie.

E poi ci sono io con le mie mattine buone, meno buone, con le situazioni da gestire fuori dalla scuola, io che provo ogni giorno a portare dentro quelle mura  il meglio che ho da offrire a quei ragazzi.

Consapevole che la letteratura non li renderà certo ricchi e socialmente invidiati ma che potrebbe aiutarli, e molto,in alcuni momenti. Perchè la letteratura parla sempre dell’uomo e dei suoi fantasmi buoni e cattivi.

E il fatto di saper fare un pensiero critico su se stessi li aiuterà e non poco. Quando si troveranno a mandare mille curricula senza ricevere risposte. O dovranno andare all’estero , lasciare famiglia ed amici per inseguire un lavoro.O quando dovranno capire di quali persone circondarsi o quali lasciare andare.

La parola scritta, pensata, immaginata, ripetuta, la sentiranno. E sussurrerà dentro di loro anche una voce piccola , sentita da una prof piccola di un paesino piccolo.Sarà come scrivere una lettera a se stessi, come darsi coraggio, come cantare una canzone nel  buio.

Con quelle parole, le mie, con quelle dei loro genitori, dei loro amici, delle persone che li amano si faranno forza. Non con i soldi o con l’ultimo modello dell smartphone,con la borsa fimata o con la macchina nuova. Se avranno investito su se  stessi, nel modo giusto, nutrendo un pensiero critico, pensando se stessi come persone fiere, libere e felici, capaci di scelte autonome, allora tutto avrà avuto un senso.

In quanto a me, credo che continuerò a starmene appollaiata sulla cattedra, incrociando le mie gambe lunghe, caracollando tra borse, libri e fotocopie per i corridoi della scuola, cercando di seminare parole che aiutano, consolano e rafforzano. Sempre.

Cp